In una prospettiva di politiche integrate per lo sviluppo locale, le politiche di servizi alla persona costituiscono una dimensione sempre più rilevante per l’attrattività di un territorio.
Con la crisi del welfare state, le politiche sociali e sanitarie sono state devolute ai livelli di governo subnazionale e in particolare: al livello regionale l’ambito della sanità; al livello provinciale quello della formazione e lavoro; al livello comunale l’ambito delle politiche sociali (servizi alle famiglie, all’infanzia, agli anziani, ai portatori di handicap, ecc.).
Sulla base del principio di sussidiarietà, è il livello di governo più vicino al cittadino che è chiamato oggi ad erogare i servizi alla persona. Si tratta di servizi che garantiscono i diritti di cittadinanza sociale (diritto alla salute, alla formazione, all’integrazione sociale) e che attengono alla dimensione della “qualità” della vita: una componente fondamentale dello sviluppo locale, non solo perché consente la riproduzione sociale, ma perché attrae risorse, umane ed economiche, e crea valore aggiunto.
In un contesto sociale che va facendosi sempre più multiculturale, anche in seguito alla presenza di un crescente numero di immigrati, il ricorso all’intervento pubblico nell’ambio delle politiche sociali sembra essere correlato, inoltre, sia ad un insufficiente ruolo della comunità locale tradizionale nel garantire l’autoregolazione di una società divenuta sempre più multiforme, sia alla disgregazione del tessuto sociale (capitale sociale) tradizionale, costituito da quelle reti informali che, soprattutto in alcuni contesti, consentivano di attraversare fasi critiche senza ricorrere al sussidio pubblico, prime fra tutte le parrocchie e le associazioni di matrice cattolica che, nel caso del Veneto, sono stati per anni gli attori principali delle politiche sociali e, negli ultimi tempi, si sono fatti carico della prima accoglienza degli immigrati.
In questa prospettiva le politiche di welfare locale, forse meglio di altre, fanno rilevare l’urgenza di definire forme di governance che puntino alla pianificazione e al coordinamento degli interventi volti all’integrazione sociale dei migranti, che renda possibile articolare progetti di ampio respiro e, al tempo stesso, superare la perpetuazione di un modello di sviluppo che tende a puntare, ancora, su una logica di basso costo del lavoro e scarsa innovazione. Una chiara strategia di integrazione sociale e politica dei lavoratori immigrati, con il riconoscimento dei diritti di cittadinanza, potrebbe contribuire invece a sbloccare il processo di trasformazione di una società “in bilico”, ancora combattuta tra la difesa di un’identità tradizionale localistica e la costruzione di una identità interculturale aperta al cambiamento.
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